Talvolta è difficile comprendere e condividere le motivazioni della Cassazione. Sicuramente bisogna conoscerle.
Il caso è quello di un motociclista che, dopo aver avuto uno scontro frontale con un’autovettura che aveva invaso la corsia opposto, decedeva.
La morte sopraggiungeva dopo 30 minuti, in condizioni di totale incoscienza.
Il quesito è: in questo caso, deve essere o no riconosciuto il risarcimento del danno da morte (anche definito “danno tanatologico”), ovvero il danno che deriva dalla perdita del bene “vita”? In altri termini, la morte rappresenta la massima offesa possibile della salute?
La risposta è no: la morte non è la massima offesa possibile e non sempre la perdita della vita merita un risarcimento del danno.
Una recentissima sentenza della Cassazione, la n. 4146 della terza sezione civile, ha infatti deciso che, nella fattispecie, non sussistano i presupposti per riconoscere il diritto al risarcimento del danno per la perdita della vita del motociclista.
Questo perché il motociclista è morto quasi immediatamente dopo il fatto illecito subito e senza soffrire, giacché, nel lasso temporale trascorso tra le gravissime lesioni e la morte (30 minuti), il motociclista si trovava in uno stato di totale incoscienza.
Valendosi di questi principi, la Corte di Cassazione ha quindi rigettato la richiesta di risarcimento del danno avanzata dagli eredi del motociclista tragicamente deceduto a seguito d’incidente stradale.