altre materiediritto penale

A Cirié, piccola località a 30 km circa da Torino, il passaggio dal 2019 al 2020 verrà ricordato per essere stato il più rumoroso del secolo.

Non, come si potrebbe pensare, per i botti di Capodanno che, nonostante gli auspici per non averli il Comune esplicitamente vietati, quasi non hanno fatto notizia.

Cosa ha turbato, quindi, questa tranquilla (forse troppo, per qualcuno) cittadina?

Un rave party!

Circa 4000 persone attese in città.

Come documentato da alcuni servizi locali, firmati dal reporter Francesco Vivenza, https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2670565446313595&id=781503115219847 e https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2675273765842763&id=781503115219847, tanta è stata la rabbia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, ree di non aver impedito il rave con gli inevitabili disagi che hanno provocato alla comunità: disturbo della quiete pubblica, invasione di terreni o edififici, cessione di stupefacenti, problemi alla sicurezza e alla viabilità e molto altro ancora.

In particolare, rispetto al problema della sicurezza, in molti si sono domandati: perché , per esempio, una pro loco per organizzare una qualsiasi manifestazione, deve chiedere mille permessi e autorizzazioni (per spesso sentirseli negare), e coloro che organizzano un rave, senza autorizzazione e senza nemmeno preavvisare alcuno, sarebbero legittimati a farlo?

Domande, che meritano una risposta.

Precisiamo subito che, ad oggi, nonostante sia stata in più occasioni invocata dai sindaci delle comuni di volta in volta interessati, non esiste una legge che disciplina, nello specifico, il fenomeno dei rave party.

Da un punto di vista sociale, secondo la definizione che ci offre Wikipedia, i rave party o rave, sono manifestazioni musicali autogestite, nate verso l’inizio degli anni ottanta (non proprio un fenomeno nuovo), caratterizzate dal ritmo incalzante della musica e dai giochi di luce. Si tengono di solito in spazi isolati, per esempio all’interno di aree industriali abbandonate o in grandi spazi aperti, come campi, cave, boschi e foreste, e con durata variabile da una notte fino a più di una settimana.

I free party assumono anche una connotazione politica volendo apertamente contestare la proprietà privata, attraverso l’occupazione di spazi abbandonati; attaccare le forme di produzione commerciale delle discoteche, con disconoscimento del valore del denaro e dei rapporti sociopolitici di dominio nel governo della metropoli.

Al contrario, i partecipanti ai rave party esprimono il concetto di autoproduzione come concetto di massa, dalla produzione stessa della musica alla creazione di una vera e propria microeconomia alternativa, compreso il baratto. Sotto questo profilo, nessuno potrebbe seriamente contestare il pagamento della Siae, giacché la musica riprodotta non è (verosimilmente) da questa protetta perché, autoprodotta e autogestita.

Sotto un profilo strettamente giuridico, i rave party altro non sono che riunioni in luoghi aperti al pubblico e, come tali, ai sensi dell’art. 17 Cost., costituendo un diritto, non devono ottenere alcuna autorizzazione da parte delle autorità che nemmeno debbono essere preavvisate. In altri termini, il Comune non ha alcun dovere, né potere, né diritto di evitare un rave party.

Così si è infatti recentemente espressa la Cassazione penale (sezione I, sentenza 21 luglio 2017, n. 36228) che, cassando la condanna emessa da un Tribunale, testualmente recita: “La Corte costituzionale, con sentenza n. 56 del 1970, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 68 T.U.L.P.S., precisando che le disposizioni contenute nel citato articolo e nell’art. 666 c.p., – i quali dispongono che per trattenimenti di qualsiasi genere da tenere in luogo aperto al pubblico occorre la licenza del questore – violano l’art. 17 Cost., nella parte in cui si riferiscono a trattenimenti non indetti nell’esercizio di attività imprenditoriale. Mentre per questi ultimi può configurarsi un limite alla libertà di iniziativa economica giustificabile ai sensi dell’art. 41 Cost., gli altri trattenimenti, in quanto implicano esercizio della libertà di riunione, possono essere indetti senza necessità della licenza del questore. Dispone, infatti, l’art. 17 Cost., che i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi e che per le (loro) riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Il diritto di riunione è tutelato nei confronti della generalità dei cittadini, che, riunendosi, possono dedicarsi a quelle attività lecite, anche se per scopo di comune divertimento o passatempo (Corte cost. sent. n. 142 del 1967) e quindi a quei trattenimenti cui si riferiscono le norme sopra citate. Se, dunque, la riunione è indetta anche in luogo aperto al pubblico da persone che intendono riunirsi per attuare gli scopi anzidetti, fra i quali i trattenimenti di cui parlano le disposizioni R.D. 18 giugno 1931, n. 773, ex art. 68, e art. 666 c.p., nessuna autorizzazione e nessun preavviso occorre. Diversamente è a dirsi se la riunione, avente per oggetto un trattenimento di danza, di giuoco, di sport, ecc., è invece indetta in un pubblico locale da parte del titolare nell’esercizio della sua attività imprenditoriale. In tal caso non è il diritto di riunione quello che egli intende esercitare, bensì il diritto di libera iniziativa economica che gli consente di organizzare la propria azienda e di svolgervi le attività lecite inerenti alla sua impresa. Si è, cioè, non più nella sfera dei diritti dell’art. 17 Cost., ma di quelli tutelati dall’art. 41, che, peraltro, ammettono limiti e controlli nel pubblico interesse. In proposito va ricordato che con la precedente sentenza n. 142 del 1967, la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 68 del T.U.L.P.S., approvato con R.D. 18 giugno 1931 n. 773, è costituzionalmente illegittimo, nei confronti dell’art. 17 Cost., nella parte nella quale vieta di dare feste da ballo in luogo esposto al pubblico senza la licenza del questore. Tanto premesso, non essendo emerso e neppure contestato che l’indicato trattenimento musicale sia stato posto in essere con finalità di lucro o nell’esercizio di un’attività imprenditoriale, non resta che escludere la sussistenza del fatto”.

In breve, quindi, il concetto è questo: se nel rave party manca l’attività imprenditoriale, questo è assolutamente legittimo, senza previa autorizzazione e/o preavviso. Non può pertanto essere vietato.

Ciò non toglie che, se nell’ambito e/o in occasione della festa, vengano commessi dei reati, questi possano essere perseguiti penalmente.

Così, se il rave si svolge in una proprietà pubblica o privata, ancorché abbandonata, gli occupanti sono perseguitabili penalmente, ma solo se il proprietario presenta querela, altrimenti nessuno potrà indagarli o proccessarli.

Per quanto riguarda le sostanze stupefacenti, queste assumono rilevo penale solo se sono oggetto di cessione, ovvero di spaccio, non se finalizzato al consumo personale.

Per i rave numerosi, le vittime sono inoltre legittimati a sporgere atto di denuncia /querela per il disturbo della quieta pubblica.

Per quanto riguarda la produzione di inevitabili rifiuti, pare che non ci sia scampo: se è ammucchiata e lasciata sul posto, si rischia un procedimento penale per produzione e abbandono di rifiuti, invece, se viene collocata su furgoni e asportata, il reato contestabile potrebbe essere quello di attività di gestione dei rifiuti non autorizzata.

Ovviamente, ogni caso ed ogni situazione sono diversi e questo articolo non costituisce un parere.

Per una consulenza personalizzata, meglio sempre rivolgersi al Vostro legale di fiducia.


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