Condanna per maltrattamenti a carico di un professore che, davanti all’intera classe, insulta e umilia il proprio alunno con epiteti dall’indiscutibile valenza ingiuriosa (“fetente”, “deficiente”, “coglione”, “fituso”, “vucca aperta”).
Non del meno grave reato di abuso dei mezzi di correzione si tratterebbe per la Suprema Corte di Cassazione penale (Sentenza 27 gennaio 2021 n. 3459) ma di veri e propri maltrattamenti, puniti dall’art. 572 c.p..
Motiva infatti la Cassazione che, ripredere sistematicamente l’alunno con epiteti dall’indiscutibile valenza ingiuriosa, ma anche umiliante, considerando la differenza di ruolo, oltre che di età, tra costoro, costituisce un forma di violenza e come tale, sia essa fisica che psicologica, non può mai costituire un mezzo di correzione o di disciplina, neanche se posta in essere a scopo educativo.
Corretta è quindi la condanna per maltrattamenti.
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