Con il termine mobbing si identifica una serie di comportamenti violenti (per lo più abusi psicologici, vessazioni, angherie, …) da parte di uno o più persone ai danni di un altro individuo, appartenente allo stesso gruppo, finalizzati all’auto allontanamento spontaneo dal medesimo
Tale pratica è solitamente condotta negli ambienti di lavoro, ma non solo . Il mobbing può essere esercitato anche in famiglia, a scuola e nella società in generale.
Sul luogo di lavoro, il mobbing è finalizzato ad indurre la vittima a lasciare da sé il posto di lavoro, senza ricorrere al licenziamento.
Ciò avviene mediante la vessazione sistematica di un dipendente o di un collega con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica.
Quanto al risarcimento del danno questo è generalmente riconosciuto dalla giurisprudenza nei limiti del danno biologico, non anche del danno morale se non costituisce anche reato. In ogni caso, il mobbing deve aver procurato una delle malattie riconosciute in ambito medico.
D’altro canto, è da dire che non tutte le angherie patite sul luogo di lavoro possono qualificarsi come mobbing e, quindi, giustificare una richiesta di risarcimento danni.
Per disincentivare azioni legali pretestuose, in mancanza di una normativa specifica, la Corte di Cassazione (sentenza n. 10037/2015) ha individuato dei criteri per riconoscere il “vero” mobbing. Perché si configuri il mobbing sul luogo di lavoro è necessario che: le vessazioni avvengano sul luogo di lavoro; non siano episodiche ma reiterate e molteplici; siano finalizzate a minare la comunicazione, all’isolamento sistematico, alle variazioni delle mansioni lavorative, agli attacchi alla reputazione, alle violenze o alle minacce. E’ necessario, inoltre, l’intento persecutorio, ovvero la volontà di tormentare il lavoratore.
In famiglia la pratica del mobbing è condotta con la finalità di delegittimare uno dei coniugi, estromettendolo dai poteri decisionali riguardanti la famiglie e, nello specifico, I figli.
A scuola il mobbing si confonde spesso con il bullismo tra i compagni di classe . Peraltro esiste sia una forma di mobbing verticale dall’alto: dell’insegnante nei confronti dell’alunno, mediante espressioni ripetutamente denigratorie, provvedimenti disciplinari persecutori, valutazioni e giudizi ingiustificatamente negativi. Meno conosciuto è il mobbing di studenti nei confronti degli insegnanti ritenuti deboli e non in grado di mantenere la disciplina in classe.
Il mobbing riceve una tutela di natura civilistica, volta ad ottenere il risarcimento del danno, e anche di natura penale laddove integri contestualmente dei fatti di reato. Ovviamente, per tale ultima ipotesi sarà sempre possibile la costituzione di parte civile per chiedere il risarcimento dei danni patiti.
Gli “atti persecutori”, indicati in gergo con la parola anglosassone stalking (letteralmente significa “fare la posta”), in termini psicologici sono un complesso fenomeno relazionale, indicato anche come “sindrome del molestatore assillante” e, seppur articolato in una moltitudine di dettagli, è tuttavia possibile descriverne i contorni generali.
I protagonisti principali sono:
- il “persecutore” o molestatore assillante (l’attore),
- la vittima
la relazione “forzata” e controllante che si stabilisce tra i due e finisce per condizionare il normale svolgimento della vita quotidiana della seconda, provocando un continuo stato di ansia e paura. La paura e la preoccupazione risultano, quindi, elementi fondanti e imprescindibili della “sindrome del molestatore assillante” per configurarla concretamente e darne la connotazione soggettiva che gli è propria.
I comportamenti persecutori sono definiti come “un insieme di condotte vessatorie, sotto forma di minaccia, molestia, atti lesivi continuati che inducono nella persona che le subisce un disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore”.
Quindi, non sono tanto le singole condotte ad essere considerate persecutorie, ma piuttosto è la modalità ripetuta nel tempo, contro la volontà della vittima, che riassume in sé il principale significato delle condotte persecutorie.
Lo stalking può presentare una durata variabile, da un paio di mesi fino a coprire un periodo lungo anche anni.
Anche nel proprio condominio si può attuare lo stalking. A sostenerlo è la Cassazione (sentenza n. 20895/2011) che definisce lo stalking condominiale come una condotta persecutoria reiterata nei confronti di più persone a stretto contatto tra di loro e accomunate da caratteristiche simili.
Lo stalking condominiale presenta, quindi, tutti gli elementi che caratterizzano lo stalking comune, distinguendosi soltanto per il luogo (ovvero, Condominio) in cui gli atti persecutori vengano posti in essere.
Dallo stalking condominiale ci si difende alla stessa maniera con cui ci si difende dallo stalking comune.
Una prima possibilità consiste nella richiesta di ammonimento al Questore che emette un decreto di ammonimento orale nei confronti dello stalker.
Una seconda possibilità, che attua un livello di tutela maggiore, è dato dall’atto di denuncia – querela. A differenza delle altre ipotesi criminose, la querela per stalking può essere sporta entro 6 mesi (e non 3 mesi) dalla commissione dei fatti.
Lo Studio Legale Antisso&Commisso assistono le vittime mediante la predisposizione di querele, istanze, costituzioni di parte civile e richieste risarcitorie, nonché, gli indagati o gli imputati da immaginari stalkerizzati o da processi irregolari per una condanna giusta, se dovuta.