Chissà quante persone vivono o, in passato, hanno vissuto condizioni di lavoro umilianti.
Chissà quante persone si sono sentite dire: “…se non ti va bene, sei libero di andartene”.
Chissa quanti lavoratori sono costretti a subire continue vessazioni oppure ad espletare compiti non inerenti alle loro mansioni, senza il riconoscimento di una giusta restribuzione con l’unica alternativa di accettare le condizioni di lavoro imposte dal datore di lavoro o di perdere il lavoro.
A fronte di tale stato di fatto, una recentissima sentenza della Corte Suprema di Cassazione (Sez. II penale – Sentenza 2 febbraio 2022, n. 3724) ha affermato la sussistenza del delitto di estorsione ogni volta che il datore di lavoro, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole, con la minaccia larvata del licenziamento, costringe i lavotori ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate.
Il principio di diritto qui espresso non è nuovo nel panorama giurisprudenziale.
Esso costituisce certamento uno strumento in più per il lavoratore che si ritiene vessato dal proprio datore di lavoro che, per condotte simili, rischia molto.
Vero è, infatti, che il reato di estorsione è un reato piuttosto grave, punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da € 1.000 ad € 4.000.
Attenzione, dunque.