È cessata la convivenza oppure siete già divorziati e vivete separatamente.
L’incubo tuttavia non finito: avete dei figli in comune e siete costretti ad intrattenere rapporti quotidiani con l’altro genitore per attendere ai compiti di cura e di educazione dei figli. Si è dunque mantenuta tra di voi una consuetudine di vita in comune nonostante la fine della relazione. In tale contesto, continuate ad essere vittime di condotte aggressive e violente.
In questa situazione di fatto, si integra o meno il delitto di maltrattamenti in famiglia?
Vi diciamo subito che non esiste una risposta univoca, perché sul punto esiste un conflitto giurisprudenziale, ovvero i giudici, hanno deciso in contrasto tra loro rispetto a casi simili: taluni hanno infatti ritenuto sussistere il reato di maltrattamenti in famiglia, mentre altri, invece, sul presupposto che all’anagrafe una famiglia non esiste più, hanno negato tale possibilità, configurando il fatto nel reato meno grave di atti persecutori.
Pur tuttavia, Vi segnaliamo una più recente sentenza della Cassazione ( Cass. penale n. 7259/2022) che ha ritenuto di dare seguito all’orientamento interpretativo secondo il quale il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe quello di atti persecutori quando, nonostante l’avvenuta cessazione della convivenza, la relazione tra i soggetti comunque rimanga, connotata da vincoli di solidarietà.
Per questa Cassazione, dunque, al di là del criterio della coabitazione ciò che deve rilevare è la connotazione delle persone come di “famiglia”.