È partita dalla Procura di Bergamo la prima indagine giudiziaria per capire se l’Italia avesse un piano pandemico quando è stata colpita dalla pandemia da coronavirus: cioè se negli anni precedenti al 2020 fosse stato predisposto un documento che indicasse la strategia sanitaria da adottare nell’eventualità di una pandemia, e quando fosse stato aggiornato l’ultima volta. La finalità dei magistrati è infatti quella di ricostruire le responsabilità (soprattutto penali) e le decisioni prese nella gestione dell’epidemia.
Al momento, pare che siano tre i capi d’accusa formulati dalla Procura: epidemia colposa, omicidio colposo e falso. Falso perché, secondo l’ipotesi accusatoria, il piano pandemico italiano più recente, che sarebbe stato datato 2017, in realtà, altro non era che lo stesso piano del 2006, ovvero un mero taglia e incolla mal eseguito.
Sulle responsabilità vi è di più, giacché lo stesso vice di Speranza, Pierpaolo Sileri, ha detto che «effettivamente l’Italia non era pronta ad affrontare un’epidemia come quella da coronavirus. Il fatto che il piano pandemico fosse troppo vecchio è vero, credo che qualche spiegazione da questo punto di vista dovrebbe essere data».
Inevitabili sono state quindi le centinaia di esposti e di denunce.
La procura di Bergamo ha raccolto migliaia di documenti e decine di testimonianze importanti per ricostruire quello che è successo in provincia di Bergamo.
Si prevede che l’indagine non rimarrà un caso bergamasco, ma diventerà nazionale.
Al momento gli indagati sono cinque: Francesco Locati, il direttore dell’Asst (Azienda sociosanitaria territoriale) di Seriate, Roberto Cosentina, ex direttore sanitario della stessa Asst, sostituito a fine agosto, Luigi Cajazzo, ex direttore generale del Welfare della regione Lombardia, il suo vice Marco Salmoiraghi e Aida Andreassi, dirigente dell’Unità organizzativa Polo ospedaliero.
Il bisogno di giustizia e di verità è tanto. Chi ha sbagliato dovrà rispondere alle domande e assumersi le proprie responsabilità, anche mediante il risarcimento dei familiari delle vittime del Covid che non hanno potuto memmeno meritare una degna sepoltura e, anche per questo, chiedono giustizia.