Quando si verificano fatti che rendano intollerabile la prosecuzione della vita coniugale o che recano un pregiudizio all’educazione dei figli, ciascuno dei coniugi può chiedere all’autorità giudiziaria l’autorizzazione a vivere separati.
Con la c.d. riforma della giustizia civile (decreto legge 12 settembre 2014 n. 13, convertito in legge il 6 novembre 2014), è stata introdotta un’ulteriore disciplina, volta alla semplificazione dei procedimenti di separazione e divorzio, complementare alla negoziazione assistita, anch’essa introdotta con la riforma della giustizia civile.
Con la negoziazione assistita è permesso dirsi addio nello studio dell’avvocato o davanti alla scrivania del sindaco, e dividere vite, patrimoni e figli senza mai (o quasi) entrare in un’aula di tribunale. Purché non ci siano attriti o contenziosi, purché naturalmente tra gli ex ci sia consenso.
Una coppia che decide di separarsi potrà effettuare l’intero percorso che la porterà al divorzio, unicamente con l’assistenza degli avvocati. Decisa la separazione, e passati comunque i tre anni previsti dalla legge attuale, i legali potranno “scrivere” il divorzio, che dovrà poi essere ratificato dal Procuratore della Repubblica. Una procedura dunque tutta fuori dai tribunali e consentita sia alle coppie senza figli che a quelle con i figli, anche minori e portatori di handicap. Condizione essenziale naturalmente l’accordo tra le parti.
Per le coppie senza figli poi, e laddove non ci siano patrimoni da dividere, la separazione potrà avvenire davanti ad un ufficiale di stato civile, e dunque sarà ancora più semplice e meno costosa. Con esclusione dell’accordo riguardante la modifica delle condizioni di separazione e divorzio , un ulteriore adempimento procedurale è disposto per la conferma dell’accordo: il sindaco, infatti, dovrà invitare i coniugi a comparire avanti a sé entro trenta giorni per la conferma dell’accordo, per dare ai coniugi, ormai ex, la possibilità, si legge nel testo, di «una maggiore riflessione sulle decisioni in questione». La mancata comparizione è motivo di mancata conferma.
Per l’ipotesi in cui ci siano questioni patrimoniali da risolvere sembrerebbe rimanere ferma la procedura della separazione consensuale e del divorzio congiunto avanti al Tribunale. La procedura della separazione consensuale e del divorzio congiunto rimane comunque una procedura semplificata in quanto consta di una sola udienza, durante la quale le parti compariranno davanti al Presidente del Tribunale che omologherà le condizioni di separazioni sulle quali i coniugi si sono accordati ovvero, in caso di divorzio, emetterà la sentenza che recepirà gli accordi già raggiunti dalle parti.
Diversamente accade nel giudizio di separazione e divorzio giudiziale che si risolve in un vero e proprio processo, perdurando l’animosità e la contrapposizione tra i coniugi. Tale giudizio può durare anche anni, soprattutto se vi sono forti dissapori circa l’affidamento dei figli, il loro mantenimento o il mantenimento del coniuge economicamente più debole, con notevole aumento dei costi.
Per quanto attengono i tempi per chiedere il divorzio, ancorché allo stato ci sia un disegno di legge che propone di ridurre in maniera consistente i tempi necessari ad ottenere il divorzio, senza dover attendere tre anni dalla separazione, nulla è ancora stato approvato. Attualmente, quindi, non è possibile ottenere il divorzio se non trascorso il termine di tre anni di ininterrotta separazione.
Per la separazione tra conviventi more uxorio non esiste invece ancora alcuna regolamentazione.
Gli accordi sulla separazione sotto pertanto rimessi ai liberi accordi delle parti (c.d. patti di convivenza). Il mancanza di patti di convivenza, il convivente economicamente più debole non può vantare alcun diritto all’assegno di mantenimento o agli alimenti. Il discorso cambia per quanto riguarda i figli. Questi infatti godono appieno degli stessi diritti dei figli delle coppie sposate. Infatti, se in caso di convivenza senza figli la casa torna automaticamente al convivente che ne è titolare, se ci sono minori il Tribunale, come in qualsiasi altra separazione, nell’interesse primario del minore stesso, tenderà ad assegnare la casa al genitore collocatario, ovvero quello presso il quale i figli abiteranno per la maggior parte del tempo. Se la casa che la coppia di fatto abitava era in affitto, il genitore collocatario ha diritto di subentrare come locatario se il contratto era intestato all’altro e ciò anche in caso di morte dell’altro coniuge. Inoltre, il genitore non collocatario dovrà versare un assegno di mantenimento per il bambino, fino a quando questo non sarà economicamente autonomo.
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