Questo articolo riguarda tutti: riguarda i comuni cittadini che magari si ritrovano a commentare un “fatto di paese”; riguarda i giornalisti che pubblicano un articolo di cronaca nera; riguarda gli utenti social che, su un gruppo o sul proprio profilo, additano un soggetto dichiarandolo pubblicamente colpevole di un fatto di reato, senza che ciò sia stato accertato legalmente.
Il tema è quello del rapporto tra la presunzione di innocenza e la libertà di espressione sui social network.
Si è infatti istintivamente portati a pensare che i social siano uno spazio caratterizzato da una libertà d’espressione illimitata per tutti e su qualunque tema.
Tuttavia, non è proprio così, poiché i rischi a cui si va incontro sono tantissimi.
Bisognerebbe partire dalla riflessione sulla portata delle conseguenze (spesso devastanti) di talune espressioni di pensiero per determinate persone prese ad oggetto.
Quando una persona dichiara pubblicamente che un’altra è colpevole di un reato, la espone ad una pluralità di situazioni sgradevoli riferite, in particolare, al rapporto con gli altri membri della società in cui vive che, spesso, tralasciano la presunzione di non colpevolezza e considerano l’accusato come già condannato prima che sia entrato in un’aula di giustizia. Questa situazione può condurre a vergogna, solitudine, gravi danni all’immagine. Con i social network questo tipo di conseguenze sono aggravate a causa della portata, spesso virale, che un post o un commento possono avere.
Per la gravità delle conseguenze, il nostro ordinamento giuridico, punisce penalmente la condotta di chi offende l’onore altrui pubblicamente ravvisando, di volta in volta, diverse ipotesi di reato. Le più ricorrenti sono la calunnia e la diffamazione aggravata, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato e se è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità.
In proposito, la Corte di Cassazione ha infatti ritenuto che la pubblicazione di un post o un commento sui social network può configurare il reato di diffamazione in virtù dell’idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento, tra l’altro nell’ambito di un gruppo di persone numericamente apprezzabile (Cass. pen., sez. V, 13.07.2015, n. 8328).
L’orientamento giurisprudenzale testè citato è pacifico, per cui l’invito è quello di essere sempre molto prudenti rispetto a quello che si posta o si commenta perchè, come anticipato, la libertà di espressione non illimitata.