La Corte Costituzionale ha emesso la sentenza: “non è punibile, ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Non ogni caso, ma solo in alcune condizioni l’aiuto al suicidio è scriminata, cioè non è punibile, non è penalmente sanzionabile
Quali sono queste condizioni?
L’aiutato deve essere un malato. Non solo. Deve essere un malato affetto da una patologia irreveribile. Questa malattia, oltre ad essere irreversibile, deve provocare sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili, anche se non è chiaro se sono necessarie entrambe le sofferenze insieme o è sufficiente una delle due. Tutto ciò non è sufficiente, perché il piazente, in siffatte condizioni, deve essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitali (che non dovrebbero consistere in cure mediche). Ultima condizione, ma forse la più importante, è necessario che il paziente si capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
Ecco dunque, che in presenza di tutte queste condizioni, chi aiuta il malato terminale a morire, non commette alcun reato.La Corte Costituzionale invoca tuttavia una legge che recepisce tale principio costituzionalmente orientato. Verrà emanata?